#70esimo #25Aprile – Il rapporto tra scienza, natura e nazifascismo

Oggi ricorre il 70esimo anniversario della Liberazione d’Italia, che vide un popolo insorgere e Resistere contro il nazifascismo.resistenza-2-a055c

Partecipi della celebrazione di questo importante momento storico per il nostro Paese e consapevoli del ruolo che ricopre la memoria al fine di evitare il ripetersi di azioni e momenti tragici del passato, abbiamo deciso di mostrarvi, presentando alcuni scritti interessanti sull’argomento, come tra i molteplici aspetti negativi del fascismo e del nazismo vi fosse l’utilizzo della scienza e della natura volto esclusivamente al raggiungimento dei loro fini dittatoriali ed eugenetici.

 

La scienza sbagliata del nazismo (da Città della Scienza)

[…] La fama clamorosa che i libri di Darwin, L’origine della specie  (1859) e  L’origine dell’uomo (1871), produssero nei primi decenni del XX secolo, fu dovuta al fascino che esercitava su larga parte del mondo intellettuale la tesi semplicistica – grossolanamente estrapolata dal contesto scientifico darwiniano – della sopravvivenza del più forte. Già nel 1879, in occasione del 50° Congresso dei naturalisti tedeschi, molti di quelli che allora venivano chiamati “filosofi naturali” (a metà strada tra scienziati e intellettuali umanistici) discussero della cornice politica dell’evoluzionismo, portando il giornalista Emile Gautier a parlare in modo sprezzante di “darwinismo sociale”. Questa sensibilità si diffuse nei decenni successivi in una Germania da poco unificata e avida di discorsi sulla superiorità della “razza tedesca”.

Nei primi anni del Novecento figure come Eugene Fischer contribuirono all’elaborazione di una teoria – e poi di una vera e propria pratica – eugenetica. Antropologo fisico, Fischer compì esperimenti nelle colonie tedesche dell’Africa che lo portarono a elaborare un appello contro il matrimonio interrazziale, che ottenne vasta eco in diversi paesi europei e ancor di più in una Germania che era uscita con le ossa rotte dal primo conflitto mondiale e covava sentimenti revanscisti e ultranazionalisti. Divenuto nel 1930 direttore dell’Istituto di antropologia di Berlino, Fischer entrò nel “cerchio magico” di Hitler e ottenne ampi fondi per portare avanti le sue analisi sui figli dei meticci, propagandando le tesi della pura razza ariana, della sterilizzazione forzata e del divieto di incroci razziali, che si tradussero nelle leggi naziste di Norimberga del 1935, che proibivano i matrimoni tra cittadini “di puro sangue tedesco” e gli ebrei.

A “perfezionare” la deriva pseudoscientifica del darwinismo sociale e dell’eugenetica si inserì anche la politica dell’eutanasia dei “meno adatti”. Sulla base di pubblicazioni che si erano susseguite tra la fine del XIX e i primi vent’anni del XX secolo (Il diritto alla morte di Adolf Jost del 1895, Il permesso di annientare vite indegne di vita di Alfred Hoche e Karl Binding, 1920), la Germania nazionalsocialista avviò ampie campagne di sterilizzazione forzata che tra il 1933 e il 1939 portarono a sterilizzare oltre 300mila persone tra persone giudicate affette da malattie ereditarie, in una visione distorta delle leggi dell’ereditarietà (venivano considerati ereditari, tra gli altri, disturbi come la schizofrenia o l’epilessia). Il medico personale di Hitler, Karl Brandt, sviluppò in quegli anni il programma noto come Aktion T4, portato avanti dal “Comitato del Reich per il rilevamento scientifico di malattie ereditarie e congenite gravi”, istituito nel 1938: il comitato aveva lo scopo di ordinare la soppressione di tutti i bambini fino ai tre anni con malformazioni fisiche e malattie mentali. Negli anni successivi questa politica fu estesa anche agli adulti. Si stima che circa 70mila persone furono uccise attraverso i programmi di eutanasia – e in molti casi di vero e proprio sterminio di massa – del Terzo Reich.

Negli anni della Seconda guerra mondiale, Eugene Fischer ebbe modo di condurre i suoi esperimenti medici direttamente nei campi di concentramento attraverso prelievi di sangue e tessuti, nonché misurazioni craniali. Inventò una vera e propria scala pseudoscientifica per determinare la provenienza razziale degli internati, che si basava sul colore dei capelli: i più puri erano quelli che avevano i capelli biondi, i meticci più “impuri” avevano i capelli neri o con gradazioni di rosso. Ad Auschwitz il medico del campo di concentramento fu il tristemente noto Josef Mengele. I suoi esperimenti sui prigionieri si concentrarono principalmente sullo studio dei gemelli e del colore degli occhi, nonché sulla verifica delle capacità di sopravvivenza umana in ambienti estremi (freddo intenso, pressione atmosferica minima, assenza di ossigeno). Ad Auschwitz, la scienza distorta del nazismo si macchiò dei crimini più efferati e scrisse la pagina più oscura della medicina moderna. Ma quella del nazismo non fu né scienza né medicina, bensì pseudoscienza; e l’ideologia alla base, il darwinismo sociale, non fu che un aberrante fraintendimento delle teorie dell’evoluzione. Il giorno della memoria è perciò anche un giorno per ricordare i danni catastrofici che la cattiva interpretazione della scienza può provocare, e per ricordare l’importanza di vigilare per contrastare la diffusione di ogni teoria pseudoscientifica nella nostra società.

 

Introduzione a “Ecofascismo: lezioni dall’esperienza tedesca” (Janet Biehl e Peter Staudenmaier)

Oggi, la crisi ecologica e’ fonte di grande preoccupazione per la maggior parte delle persone umanitarie e sensibili. Mentre molti attivisti ecologisti lottano per eliminare i rifiuti tossici, per preservare le foreste pluviali e quelle secolari e per contrastare la distruzione della biosfera, anche molte persone comuni, in ogni settore, sono fortemente preoccupate per la natura del pianeta in cui i loro figli dovranno crescere ed abitare. Sia in Europa che negli Stati Uniti, la maggior parte degli attivisti ecologisti si considera progressista. Supporta, cioe’, anche le lotte per garantire giustizia sociale ai popoli oppressi e pensa che richiedano la nostra piu’ profonda attenzione anche i bisogni degli esseri umani che devono fronteggiare poverta’, malattie, guerre civili e carestie. Per molte di queste persone, puo’ risultare sorprendente apprendere che la storia delle politiche ambientaliste non e’ sempre stata inerentemente e necessariamente progressista e benigna. Di fatto, le idee ecologiste hanno una storia di distorsione ed impiego al servizio di finalita’ altamente repressive, anche del fascismo stesso. Come mostra Peter Staudenmaier nella prima sezione di questo testo, alcune rilevanti tendenze nell’”ecologismo” tedesco, che ha radici nel misticismo della natura del diciannovesimo secolo, furono sviluppate nel ventesimo secolo durante la nascita del nazismo. Durante il Terzo Reich, come Staudenmaier mostra successivamente, gli “ecologisti” nazisti resero l’agricoltura biologica, il vegetarismo, l’adorazione della natura ed altre tematiche analoghe dei punti cruciali non solo della loro ideologia, ma anche delle loro politiche governative. L’ideologia “ecologista” nazista venne usata anche per giustificare lo sterminio della popolazione ebraica in Europa. Eppure, alcuni degli argomenti articolati dagli ideologi nazisti hanno una sgradevole similitudine con le tesi delle persone attualmente interessate all’ambientalismo. Essendo ecologisti sociali, non intendiamo deprecare gli importantissimi sforzi che ambientalisti ed ecologisti stanno facendo per tutelare dalla distruzione la biosfera. Al contrario: la nostra preoccupazione maggiore e’ preservare l’integrita’ dei movimenti ecologisti seri dalle tragiche tendenze reazionarie che cercano di sfruttare a favore dei propri fini politici la diffusa preoccupazione relativa alle problematiche ecologiche. Tuttavia, riteniamo che il panorama ecologista attuale, col suo crescente misticismo ed anti-umanismo, ponga dei seri problemi rispetto alla direzione che prendera’ il movimento ecologista. Nella maggior parte delle nazioni occidentali, alla fine del ventesimo secolo le espressioni di razzismo e ostilita’ all’immigrazione non stanno solo aumentando, ma vengono anche sempre piu’ tollerate. Il risorgere di ideologi e gruppi politici fascisti e’ altrettanto sconcertante. Aggiornando la loro ideologia e il loro linguaggio al nuovo lessico dell’ecologia, questi movimenti stanno ancora una volta proponendo l’impiego di argomentazioni ecologiste al servizio della reazione sociale. Con modalita’ talvolta analoghe alle convinzioni degli ecologisti di orientamento progressista, questi ecologisti reazionari e apertamente fascisti enfatizzano la supremazia della “Terra” rispetto alla gente, antepongono alla ragione i “sentimenti” e l’intuizione e difendono un crudo biologismo socio-biologico e anche malthusiano. Alcuni settori dell’eco-ideologia New Age – in particolare le propensioni al misticismo e all’anti-razionalismo – considerati benigni dalla maggior parte delle persone sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, attualmente in Germania stanno venendo collegate all’eco-fascismo. Il testo di Janet Biehl esplora questa cooptazione dell’ecologia per finalita’ razziste, nazionaliste e fasciste. Complessivamente, questi articoli esaminano alcuni aspetti del fascismo tedesco, passato e presente, per trarne un insegnamento utile per il movimenti ecologisti sia tedeschi che di altri paesi. Nonostante la sua peculiarita’, l’esperienza tedesca offre un chiaro avvertimento riguardo all’uso distorto dell’ecologia, in un mondo che sembra sempre piu’ disponibile a tollerare ideologie e movimenti finora considerati deplorevoli e obsoleti. Sia nei paesi anglofoni che in Germania, gli studiosi di ecologia politica devono ancora esaminare compiutamente le implicazioni politiche di queste idee. Per evitare che le politiche ecologiste si tramutino in reazione o fascismo con una patina ambientalista, e’ necessario un movimento ecologista che mantenga una forte attenzione al sociale e che interpreti la crisi ecologica in un contesto sociale. Come ecologisti sociali, noi riteniamo che le radici dell’attuale crisi ecologica siano in una societa’ irrazionale, non in un corredo biologico degli esseri umani, ne’ in una
particolare religione, ne’ nella ragione, nella scienza o nella tecnologia. Al contrario, difendiamo l’importanza della ragione, della scienza e della tecnologia per creare sia un movimento ecologista progressista sia una societa’ ecologica. Cio’ che oggi sta distruggendo la biosfera e’ uno specifico assetto delle relazioni sociali – in particolare, l’economia di mercato competitiva. Misticismo e biologismo, come minimo distolgono l’attenzione pubblica da queste cause. Presentando questi testi, stiamo cercando di preservare le fondamentali implicazioni progressiste ed emancipatrici delle politiche ecologiste. Oggi piu’ che mai, un impegno ambientalista richiede che le persone evitino di compiere nuovamente gli errori del passato e che il movimento ecologista non si faccia assorbire dalle tendenze mistiche ed anti-umanistiche attualmente abbondanti.

 

Il fascismo e la scienza (da Treccani)

[…] A differenza di quanto avvenuto nel corso della Prima guerra mondiale, le operazioni belliche del secondo conflitto non rappresentarono alcuno stimolo per l’attività di ricerca scientifica. Con la svalutazione della lira i finanziamenti diminuirono rapidamente in valore reale, il richiamo alle armi allontanò in modo generalizzato i più giovani tra ricercatori, assistenti, tecnici di laboratorio e, in breve tempo, il lavoro scientifico rallentò fino alla quasi totale paralisi. Se Mussolini aveva per un certo tempo creduto nelle potenzialità della scienza italiana, con lo scoppio della guerra sembrò dimenticarsene. Neppure il CNR poté sottrarsi a questa deriva.

[…]La guerra era ormai giunta al punto di paralizzare gran parte della vita della nazione e la ricerca scientifica non fu in grado di sottrarsi a questa deriva. A rendere cupo l’ambiente scientifico italiano aveva già contribuito una scelta politica fatta dal fascismo che ebbe grande impatto sulla comunità degli scienziati: la promulgazione delle leggi razziali. Fu questa una svolta fortemente voluta da Mussolini nel 1938, per rendere ancor più stretto il legame di alleanza con Adolf Hitler. Questa scelta si poneva in contrasto con le idee che in tema di razzismo erano dominanti all’interno della cultura scientifica italiana, era una scelta voluta e imposta da un dittatore che poteva trascurare del tutto le idee degli italiani.

Il razzismo nazista si fondava su una concezione biologica delle razze, secondo la quale il miglioramento di una razza (nella fattispecie quella tedesca) era ottenibile con interventi diretti sulle modalità di generazione di nuovi individui, quali il divieto di sposarsi tra appartenenti a razze diverse o l’eliminazione dei portatori di tare ereditarie, secondo una prospettiva di eugenetica ‘positiva’ che sfocerà nelle camere a gas.

La cultura scientifica italiana fino al 1938 aveva pressoché totalmente rifiutato una simile prospettiva, sostenendo invece una concezione di ‘razzismo all’italiana’, che mirava a migliorare le caratteristiche psicofisiche del popolo italiano per mezzo di misure ambientali: campagne contro le malattie endemiche, risanamento delle abitazioni, la chiusura delle osterie, le colonie estive per i bambini poveri, vaccinazioni, sanatori, attività sportiva e così via. Tutto questo era inteso come l’applicazione di una eugenetica latina, più morbida, il cui obiettivo generale era indicato nella ‘difesa della razza’. Obiettivo specifico era quello di incentivare la crescita quantitativa degli italiani, poiché, lo aveva detto Mussolini, «il numero è potenza». Le iniziative del governo trovarono ampi riscontri nella comunità degli scienziati: medici come Nicola Pende, demografi come Corrado Gini prestarono la loro prestigiosa presenza operante a sostenere e realizzare le misure del fascismo.

Quest’attività fu accompagnata da un intenso lavoro propagandistico, che presentò la razza italica (o, più usato, stirpe italica) come un gruppo umano dotato di caratteristiche di eccellenza, una razza superiore alle altre, come si vedeva con chiarezza studiando la storia, la quale insegna che un solo popolo, quello italiano, era riuscito nel corso dei secoli a raggiungere il primato tra tutti i popoli per due volte: l’impero romano e il Rinascimento. Furono pertanto arruolati (molti si presentarono volontariamente) antichisti, antropologi, archeologi, paleontologi, glottologi, e messi al lavoro per trovare conferme alla grandezza della ‘razza’ italica.

Questi studi avevano di fronte un ostacolo difficilmente aggirabile: dal punto di vista biologico era da escludersi che si potesse parlare di una ‘razza italica’. Troppo grande era la varietà dei tipi presenti nel Belpaese; troppo diverse, da Nord a Sud, le tipologie degli individui perché si potesse indicare quali caratteristiche fisiche hanno in comune gli italiani. Non potendo ammettere il concetto biologico di razza, tutti si orientarono verso un concetto ‘spirituale’: la potenza amalgamante di Roma avrebbe creato un popolo italiano che, disomogeneo dal punto di vista fisico, sarebbe divenuto omogeneo per cultura, religione e filosofia spontanea. Nacque così l’idea di una razza italiana, non unificabile nel fisico, già unificata nello spirito. Gli ebrei italiani non erano per nulla stati esclusi da questo processo di unificazione culturale.

Partendo da questa base, non poteva certo piacere la teorizzazione sulla purezza del sangue del nazismo, che non solo usava a piene mani la biologia, ma sosteneva anche la superiorità degli ariani del Nord sulle razze mediterranee. La cultura italiana degli anni Trenta fu punteggiata da frequenti polemiche, anche aspre, contro il razzismo germanico, rivendicando la superiorità di un razzismo all’italiana spiritualistico. Mussolini semplicemente decise di andare contro questa consolidata tendenza.

Il Manifesto degli scienziati razzisti, che fu pubblicato nei giornali il 14 luglio 1938 dando avvio ufficialmente alla trasformazione dell’Italia in un Paese razzista, negava recisamente le idee che circolavano tra gli studiosi italiani. In esso si proclamava che il razzismo è una concezione puramente biologica, che esiste una pura razza italiana ed è di origine ariana, che la concezione del razzismo in Italia deve essere di indirizzo ariano-nordico, che gli ebrei sono una razza non europea inassimilabile, dalla quale la purezza della razza italiana non deve in alcun modo essere inquinata.

Era stato scritto sotto dettatura di Mussolini, anche se era pubblicamente presentato come il frutto del lavoro di «scienziati» che invece erano completamente all’oscuro di tutto, tranne quello che lo aveva steso materialmente, il giovane e sconosciuto antropologo Guido Landra. Fu una sorpresa per la cultura italiana, così come la politica razzista lo fu per tutto il popolo italiano. Una novità che si tradusse immediatamente in una altrettanto nuova e vergognosa legislazione antisemita, che veniva a colpire anche scienziati e tecnici di primo piano.

Nel 1938 occorreva essere eroi per opporsi apertamente alla volontà di Mussolini. Eroi non ve ne furono e la comunità scientifica cercò di adattarsi al nuovo contesto, al pesantissimo clima che si era inaugurato. Vi fu chi stette in silenzio, e questi furono la stragrande maggioranza; chi aderì prontamente, più che per convinzione, per opportunismo; chi cercò di dare un’interpretazione spiritualistica del Manifesto, compiendo vere e proprie acrobazie intellettuali. Alla guida di questa corrente, in sotterranea lotta con la variante biologica, fu Giacomo Acerbo. La guerra porterà alla quasi scomparsa di questa tendenza mediatrice: la sempre più stretta alleanza con la Germania, cementata dalle vicende sui campi di battaglia, fu accompagnata da un allineamento sempre più deciso con il razzismo nazista, tanto dal punto di vista delle idee circolanti, quanto nella prassi orribile della persecuzione.

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